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Le origini
   

" Vespasianus natus est in Sabinis ultra Reate uico modico, cui nomen est Falacrinae, XV. Kal. Dec. uesperi, Q. Sulpicio Camerino C. Poppaeo Sabino cons., quinquennio ante quam Augustus excederet " (Suet., Vesp ., 2).

Nato il 17 novembre del 9 d.C. a Falacrinae (che gli itinerari antichi collocano lungo la Salaria a 77 miglia da Roma), Tito Flavio Vespasiano discendeva dalle due famiglie sabine dei Flavii e dei Vespasii . Il nonno paterno, T. Flavio Petrone, era originario di Rieti: dopo essere stato sottufficiale intorno alla metà del I secolo a.C. e aver combattuto contro Cesare, ottenne poi da questi il perdono ed esercitò il mestiere di cambiavalute. Suo figlio, Flavio Sabino, lavorò prima come esattore delle tasse in Asia, poi anch'egli come banchiere in Svizzera, dove morì. Gli sopravvissero la moglie, Vespasia Polla (originaria di Norcia), e i due figli nati da lei, Sabino (che giunse ad ottenere la prefettura urbana) e Vespasiano (che divenne imperatore). Quest'ultimo fu cresciuto ed educato dalla nonna paterna, Tertulla, presso le sue proprietà toscane di Cosa.

In seguito Vespasiano sposò Flavia Domitilla, da cui ebbe tre figli, Tito, Domiziano e Domitilla. Dopo la scomparsa della moglie si prese in casa come compagna Caenis , una liberta già da lui amata, e la tenne anche da imperatore a guisa di moglie legittima. A l momento della nascita del primogenito, nel 39, Vespasiano abitava in una casa modestissima forse presso il Palatino. In seguito acquistò una casa più ricca sul Quirinale, dove nacque nel 51 Domiziano.

 
Vespasiano: il personaggio

A Vespasiano gli storici antichi riconoscevano le tradizionali virtù "sabine", che erano state di Curio Dentato e di Catone: austerità di costumi, pragmatismo non disgiunto da autoironia, disinteresse personale unito a dedizione alla cosa pubblica. Le virtù che si dimostrarono indispensabili per la salvezza dell'impero in un momento di grave difficoltà.

Vespasiano era un uomo di corporatura quadrata e robusta; in volto aveva un'aria quasi di sforzo , tanto che un burlone, alla domanda rivoltagli dall'imperatore di dire su di lui qualche cosa di spiritoso, gli rispose: " L o farò, quando avrai smesso di liberarti il ventre ! " . Godette sempre di ottima salute. La mattina si alzava prestissimo e si dedicava alle sue incombenze: fu un lavoratore instancabile. Detestava lo sfarzo, la pompa esteriore, l'esibizione del potere e le stravaganze, ma amava le arti, le donne, i banchetti e la buona compagnia degli amici. Fu di carattere modesto, liberale e clemente. La sola accusa che gli si potrebbe legittimamente fare fu la sua cupidigia di denaro.

Spiritosissimo, si concedeva spesso agli scherzi e al motteggio, soprattutto scurrile e volgare, non tralasciando affatto parole licenziose . Nemmeno innanzi alla morte cessò di scherzare: al primo attacco della malattia che lo uccise esclamò autoironicamente: " Ahi, mi sa che sto per diventare un dio! ".

Dall'ascesa al trionfo
 

Vespasiano fu spinto controvoglia alla carriera politica dalla insistente madre. Il primo periodo, compreso tra il 43 e il 65, vede il futuro imperatore passare da successi a successive cadute: il reatino fu inviato dall'imperatore Claudio come legato di una legione in Germania e da lì in Britannia, dove assoggettò due popoli valorosissimi e più di venti fortezze. Per questo ottenne gli ornamenta triumphalia , due sacerdozi e, infine, il consolato. Conseguì quindi in sorte per il proconsolato la provincia d'Africa, che amministrò con grande onestà e tornò, proprio per questo, per nulla arricchito, tanto che si dovette dedicare al poco onorevole commercio di schiavi per mantenere il suo censo.

Si risolleverà solo con l'incarico, affidatogli da Nerone, di guidare la repressione della rivolta giudaica del 66, comando che, contro ogni previsione, lo porterà dopo una serie di vicissitudini al sommo potere: furono infatti le legioni stanziate in Egitto, prima, e in Giudea e Siria, poi, a proclamarlo imperatore. Sconfitto Vitellio e chiusa la guerra civile che aveva semidistrutto Roma, Vespasiano tornò in Italia lasciando al primogenito il compito di portare a termine la missione in Giudea. Tito mise così sotto assedio Gerusalemme: la città venne rasa al suolo e la popolazione massacrata. Nel 71 Tito raggiunse infine il padre a Roma.

 
Conquiste e riforme dell'impero
 

Conquistato il potere, Vespasiano si dedicò immediatamente al suo consolidamento e alla ristrutturazione della cosa pubblica.

Sul fronte interno, al momento della sua ascesa al trono Svetonio racconta che il neo-imperatore si lamentasse di un deficit statale (infelice eredità degli sperperi neroniani) di addirittura 4000 milioni di sesterzi. Per colmarlo, Vespasiano si dedicò ad una generale attività di aumento delle vecchie imposte (in particolare nelle province) e di creazione di nuove (famosa è rimasta quella sull'urina usata nelle tintorie). Per rendere più efficace la sua azione rivestì nel 73-74 la censura con il primogenito. La Lex de imperio Vespasiani diede inoltre a Vespasiano il diritto di agire in qualunque modo ritenesse " in accordo con l'uso e la maestà di cose umane e divine ", in sostanza legalizzando il potere autocratico dell'imperatore.

Sul fronte estero, Vespasiano fece economia nella gestione delle truppe, non aggiungendo altre legioni a quelle già esistenti e anzi riducendo il numero delle coorti. Assunse quindi il diretto controllo di città e stati prima formalmente "liberi" o "clienti", come l'Acaia e la Commagene, che immisero così altre entrate nelle casse dell'Impero. Si completò, infine, la sottomissione di alcuni territori in Germania e la pacificazione della turbolenta Britannia.

 
La Dinastia Flavia
 

Dinastia Flavia
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Quanto sappiamo della dinastia flavia lo dobbiamo sostanzialmente a Svetonio.

Dal matrimonio di Vespasiano con Flavia Domitilla nacquero tre figli: nel 39 Tito Flavio Vespasiano (omonimo del padre e meglio noto semplicemente come Tito), nel 51 Tito Flavio Domiziano e poi Flavia Domitilla. Madre e figlia morirono entrambe prima dell'ascesa di Vespasiano al trono.

Scampato rocambolescamente all'attacco dei vitelliani sul Campidoglio mascherandosi da sacerdote della dea egizia Iside (attacco in cui invece perse la vita lo zio Tito Flavio Sabino), dopo la vittoria finale del 69 Domiziano si trovò l'unico della famiglia a Roma e quindi, in assenza del padre, prese formalmente il potere, gestito però di fatto da Muciano.

Rimpatriato Vespasiano, di cui il primogenito prese il posto nella prosecuzione della guerra in Giudea sino alla distruzione di Gerusalemme del 71, il nuovo imperatore nominò presto i due figli maschi come successori. Il dettaglio non è irrilevante, dal momento che in questo modo Vespasiano inaugurava sostanzialmente una nuova concezione della dinastia, basata sulla trasmissione ereditaria del potere: fino ad allora infatti la successione aveva proceduto tramite adozione. Per ironia della sorte il sistema dinastico ereditario inaugurato da Vespasiano fallì ben presto, dal momento che già sia Tito che Domiziano morirono senza generare figli.

   
La Successione di Tito
   

Vespasiano morì nella notte tra il 23 e il 24 giugno del 79, in seguito a fortissimi dolori intestinali, mentre si trovava nella sua villa presso l'attuale lago di Paterno (non lontano da Rieti). Il potere passò dunque immediatamente e senza ostacoli al primogenito il quale, seppur in un regno brevissimo (durò infatti solo due anni), dovette far fronte a varie calamità: nel 79 l'eruzione del Vesuvio e nell'80 l'incendio che devastò Roma. Nello stesso 80 vennero portati a termine i lavori di costruzione dell' Amphitheatrum Flavium (in seguito meglio noto come Colosseo), che vennero celebrati con una festa che durò 100 giorni.

Tito si dimostrò mite, intelligente, carismatico e valoroso, e fu tanto amato dal suo popolo da meritare di essere definito da Svetonio "delizia del genere umano".

Anch'egli come il padre, morì presso la villa sabina di Aquae Cutiliae .

   
Domiziano e la fine della dinastia
   

Domiziano

Tito non aveva eredi e quindi nell'81 gli succedette il fratello Domiziano, che fino ad allora era rimasto politicamente oscurato dal padre prima e dal fratello poi. Giunto al potere, Domiziano seppe reagire con intelligenza alla sua effettiva inesperienza, sforzandosi immediatamente di conseguire successi militari e di corteggiare il Senato. Presto consolidò così il suo potere. Ma la sua avidità e le sue tendenze autocratiche (pretendeva tra l'altro di essere onorato come Dominus et Deus ) non tardarono a prendere il sopravvento e, a partire dall'84, i rapporti con il Senato si guastarono irrimediabilmente: la sempre maggiore concentrazione del potere nelle mani dell'imperatore condusse presto ad un periodo di terrore che causò congiure, rivolte e ammutinamenti (nell'87 e 89 in particolare). Gli equilibri istituzionali si erano rotti e non si fece aspettare a lungo la congiura che tolse di mezzo l'imperatore. Domiziano morì assassinato il 18 settembre del 96, forse con la complicità di alcuni senatori e della moglie stessa.

Il popolo accolse la notizia dell'assassinio con freddezza. Il Senato non esitò a colpire il tiranno con la damnatio memoriae : tutti i monumenti e le immagini che lo ricordavano furono distrutti.

Privo di eredi, Domiziano aveva adottato i figli del cugino Clemente, fratello di Sabino, ma a succedergli al trono fu invece il vecchio senatore M. Cocceio Nerva. La politica dinastica ereditaria sostenuta da Vespasiano era già fallita.

   
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